Comunicazione e informazione antimafia interdittiva, la Corte costituzionale salva l’art 89 bis del decreto legislativo n. 159 2011 “nella parte in cui stabilisce che l’informazione antimafia è adottata anche nei casi in cui è richiesta una mera comunicazione antimafia e produce gli effetti di questa”

Corte costituzionale sentenza n. 4 18 gennaio 2018

 La questione

“1.– Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza del 28 settembre 2016, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), inserito dall’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 13 ottobre 2014, n. 153 (Ulteriori disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte in cui stabilisce che l’informazione antimafia è adottata anche nei casi in cui è richiesta una mera comunicazione antimafia e produce gli effetti di questa.

Il giudice a quo conosce della legittimità di un provvedimento di decadenza da una segnalazione certificata di inizio attività, che l’amministrazione ha adottato a causa della esistenza di un’informazione antimafia interdittiva.

Di regola un tale effetto pregiudizievole, che attiene ad un rapporto in senso lato autorizzatorio con la pubblica amministrazione, discende dall’adozione di una comunicazione antimafia interdittiva, con la quale si attesta la sussistenza di una causa di decadenza, di sospensione o di divieto tra quelle indicate dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 84, comma 2, del medesimo decreto).

Tuttavia l’art. 89-bis censurato prevede che il medesimo effetto derivi dall’informazione antimafia interdittiva, che «tiene luogo della comunicazione antimafia», nel caso indicato dall’art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, ovvero quando il prefetto, dopo avere consultato la banca dati nazionale unica, riscontri la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.

In tali casi, che sono caratterizzati da maggiore gravità rispetto alle ipotesi nelle quali è prevista la sola comunicazione antimafia interdittiva, la disposizione censurata riconnette all’informazione antimafia interdittiva, sia l’effetto suo proprio, di inibire la stipulazione, l’approvazione o l’autorizzazione di contratti e subcontratti con la pubblica amministrazione (art. 91 del d.lgs. n. 159 del 2011), sia l’effetto tipico della comunicazione antimafia interdittiva, ovvero quello di vietare i provvedimenti e le attività indicate dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011.

In questo senso si è anche espressa una consolidata giurisprudenza amministrativa.

L’art. 89-bis censurato è stato introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 153 del 2014. A sua volta quest’ultimo si basa sull’art. 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136 (Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia).

Il giudice rimettente ritiene che l’art. 2 della legge delega n. 136 del 2010 non avrebbe previsto «la possibile estensione del rilascio dell’informazione antimafia […] per alcuna delle ipotesi in cui l’ordinamento abbia precedentemente previsto la richiesta ed il rilascio della semplice comunicazione».

In altri termini, secondo il giudice rimettente, il legislatore delegato, violando gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., avrebbe previsto, in difetto di delega, che l’informazione antimafia, nel peculiare caso indicato dall’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, produca gli effetti interdittivi propri della comunicazione antimafia.

La disciplina in questione contrasterebbe anche con l’art. 3 Cost., perché sarebbe manifestamente irragionevole prevedere che simili effetti interdittivi si manifestino non già per ogni tentativo di infiltrazione mafiosa di apprezzabile gravità, ma per il solo fatto che, a seguito della consultazione della banca dati, sia emersa una precedente informazione antimafia interdittiva. […]”

Il ragionamento e le motivazioni dei giudici costituzionali

Sull’eccesso di delega

“4.– La questione relativa alla violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. non è fondata.

Il giudice rimettente, senza porre alcun dubbio di legittimità costituzionale specificamente riferito alla natura meramente correttiva e integrativa del d.lgs. n. 153 del 2014, lamenta che la legge delega non avrebbe permesso di attribuire alla sola informazione antimafia gli effetti interdittivi propri della comunicazione antimafia, e insiste nel rilevare che anteriormente alla legge delega n. 136 del 2010, la quale nulla avrebbe innovato sul punto, l’informazione e la comunicazione antimafia costituivano documenti alternativi, nel senso che l’uno non avrebbe mai potuto produrre gli effetti dell’altro.

In verità, però, e quale che fosse l’ambito riservato dal legislatore all’informazione e alla comunicazione antimafia anteriormente al d.lgs. n. 159 del 2011, non sussisteva alcun ostacolo logico o concettuale, che imponesse di circoscrivere gli effetti dell’informazione antimafia alle attività contrattuali della pubblica amministrazione, escludendone invece quelle ulteriori indicate ora dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011.

Del resto, nell’impostazione originaria recata dall’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), la documentazione antimafia allora prevista riguardava, con effetti impedienti, sia l’attività contrattuale, sia quella ulteriore oggi preclusa dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, ponendo fin da allora in luce la necessità di reagire su entrambi i fronti, davanti al pericolo che soggetti raggiunti da una misura di prevenzione, o condannati per determinati reati, potessero costituire un qualsivoglia rapporto con la pubblica amministrazione da cui trarre utilità.

In seguito, l’art. 1, lettera d), della legge 17 gennaio 1994, n. 47 (Delega al Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia di comunicazioni e certificazioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575) ha allargato le ipotesi di reazione dell’ordinamento a tale pericolo, attribuendo rilievo ai tentativi di infiltrazione mafiosa, al fine di precludere in questi casi l’attività contrattuale con la pubblica amministrazione.

L’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia) a tale scopo ha configurato l’informazione antimafia quale specifica documentazione richiesta, mentre la comunicazione antimafia (art. 3) è stata rivolta alle cause impeditive oggi contenute nell’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011.

L’art. 2, comma 1, lettera c), della legge delega n. 136 del 2010 ha inteso allargare il campo di applicazione dell’informazione antimafia, stabilendo che la sua «immediata efficacia» potesse esplicarsi «con riferimento a tutti i rapporti, anche già in essere, con la pubblica amministrazione».

Con questa disposizione il legislatore delegante, prendendo evidentemente le mosse dalla situazione di estrema gravità ravvisabile nel tentativo di infiltrazione mafiosa, ha concesso al legislatore delegato di introdurre ipotesi in cui tale infiltrazione, alla quale corrisponde l’adozione di un’informazione antimafia, giustifichi un impedimento non alla sola attività contrattuale della pubblica amministrazione, ma anche ai diversi contatti che con essa possano realizzarsi nei casi ora indicati dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011.

Così, in linea generale, l’art. 84, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 ha espressamente esteso l’oggetto dell’informazione antimafia alla sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67, mentre l’art. 91 ha più specificamente allargato gli effetti interdittivi dell’informazione antimafia ai provvedimenti indicati dal precedente art. 67, purché del valore specificamente indicato.

Nel contesto del d.lgs. n. 159 del 2011, e sulla base della legge delega n. 136 del 2010, nulla autorizza quindi a pensare che il tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l’informazione antimafia interdittiva, non debba precludere anche le attività di cui all’art. 67, oltre che i rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione, se così il legislatore ha stabilito.

Naturalmente spetta alla giurisprudenza comune, in sede di interpretazione del quadro normativo, decidere in quali casi e a quali condizioni il legislatore delegato abbia inteso attribuire all’informazione antimafia gli effetti della comunicazione antimafia.

Nel caso di specie, la giurisprudenza amministrativa, e lo stesso giudice rimettente, hanno interpretato l’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 nel senso che esso impone di adottare l’informazione antimafia, non soltanto quando l’accertamento eseguito in base all’art. 88, comma 2, permette di riscontrare la sussistenza di una delle cause impeditive di cui all’art. 67, ma anche quando emerge una precedente documentazione antimafia interdittiva in corso di validità, come è accaduto nel processo principale (Consiglio di Stato, sezione terza, 8 marzo 2017, n. 1109).

Non spetta a questa Corte sindacare tale approdo ermeneutico, posto che in sé esso non pone alcun profilo di legittimità costituzionale rilevante in questo giudizio incidentale.

Infatti, una volta chiarito che, nella fisiologica attività di riempimento della delega che gli compete, il legislatore delegato ha facoltà di estendere gli effetti dell’informazione antimafia fino a precludere gli atti e i provvedimenti elencati nell’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, la circostanza che ciò sia stato disposto, o no, da tale decreto, e in quali casi, ricade interamente nella sfera di interpretazione della legge, di competenza del giudice comune.

Questa Corte deve invece limitarsi a rilevare che un tale effetto trova copertura nella legge delega, sicché la questione non è fondata.

Sulla irragionevolezza

“Anche la questione concernente la violazione dell’art. 3 Cost. non è fondata.

La fattispecie delineata dall’art. 89-bis censurato si riconnette a una situazione di particolare pericolo di inquinamento dell’economia legale, perché il tentativo di infiltrazione mafiosa viene riscontrato all’esito di una nuova occasione di contatto con la pubblica amministrazione, che, tenuta a richiedere la comunicazione antimafia in vista di uno dei provvedimenti indicati dall’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, si imbatte in una precedente documentazione antimafia interdittiva.

Non è perciò manifestamente irragionevole che, secondo l’interpretazione dell’art. 89-bis censurato condivisa dallo stesso rimettente, a fronte di un tentativo di infiltrazione mafiosa, il legislatore, rispetto agli elementi di allarme desunti dalla consultazione della banca dati, reagisca attraverso l’inibizione, sia delle attività contrattuali con la pubblica amministrazione, sia di quelle in senso lato autorizzatorie, prevedendo l’adozione di un’informazione antimafia interdittiva che produce gli effetti anche della comunicazione antimafia.”

Il disposto

“Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159…sollevate, in riferimento agli artt. 76, 77, primo comma, e 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 novembre 2017. […]”