Dl 95 2012, spending review, prelievo forzoso Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti (CNPADC)
commisurato alle spese per consumi intermedi dell’esercizio 2010: la CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
…5.– In definitiva, subordinare le esigenze di coerenza dell’ordinamento previdenziale, disegnato dal d.lgs. n. 509 del 1994 in senso mutualistico e successivamente perfezionato attraverso l’applicazione del sistema contributivo, ad un meccanismo di prelievo di importo marginale (anche per il carattere di neutralità finanziaria nell’ambito della manovra complessiva) non risulta coerente né in grado di superare i test di ragionevolezza precedentemente richiamati.
Infatti, proprio una ponderazione delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica tende inevitabilmente verso la soluzione di non alterare la regola secondo cui i contributi degli iscritti alla CNPADC devono assicurarne l’autosufficienza della gestione e la resa delle future prestazioni, in presenza di un chiaro divieto normativo all’intervento riequilibratore dello Stato.
Per quanto considerato, l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost. nella parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale norma siano versate annualmente dalla CNPADC ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato….
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[…]
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 35, 36, 38, 53 e 97 della Costituzione, nella parte in cui applica anche alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti (CNPADC) un prelievo commisurato alle spese per consumi intermedi dell’esercizio 2010.
L’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 stabilisce che: «Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) con esclusione delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano, degli enti locali, degli enti del servizio sanitario nazionale, e delle università e degli enti di ricerca di cui all’allegato n. 3, sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente; le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il presente comma non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali».
1.1.– Secondo il rimettente la norma violerebbe gli artt. 35, 36 e 38, secondo comma, Cost., in quanto, per esigenze di finanza pubblica, distrarrebbe somme destinate a finalità previdenziali, con ciò incidendo sulla misura del trattamento pensionistico inteso come «retribuzione differita», tenuto anche conto delle particolari caratteristiche del sistema mutualistico introdotto per la Cassa in questione dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza).
Il Consiglio di Stato ritiene inoltre che siano violati gli artt. 2, 3 e 97 Cost. poiché il prelievo imposto dal censurato art. 8, comma 3, inciderebbe in modo non ragionevole sull’autonomia dell’ente, sulla disponibilità e sulla destinazione di somme derivanti dalle contribuzioni dei propri iscritti. Infatti, mentre il prelievo risponderebbe a logica per le amministrazioni pubbliche finanziate dallo Stato, per la CNPADC, che deve gestire la previdenza in regime di autofinanziamento, esso sarebbe irragionevole e contrario alle finalità statutarie della Cassa stessa. Il prelievo contrasterebbe altresì con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., considerato che determinerebbe la distrazione di somme dalla loro finalità tipica ed una sostanziale riduzione del finanziamento delle prestazioni pensionistiche, piuttosto che realizzare una maggiore economicità dell’azione amministrativa.
Inoltre, secondo il rimettente, la disposizione impugnata violerebbe anche gli artt. 3 e 53 Cost. Ciò in quanto il prelievo imposto dalla norma in questione, essendo determinato in misura percentuale su quanto complessivamente speso dall’ente per consumi intermedi nell’anno 2010, non sarebbe progressivo e non terrebbe in alcun conto la capacità contributiva del soggetto, determinando in tal modo una disparità di trattamento tra soggetti destinatari di una medesima percentuale di esazione.
Infine, secondo il rimettente la disposizione impugnata violerebbe l’art. 23 Cost., in quanto, nel prevedere il versamento obbligatorio di una parte dei contributi previdenziali dei privati iscritti all’ente, distrarrebbe dette somme dalla loro causa tipica.
1.2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, deducendo l’inammissibilità o comunque l’infondatezza delle questioni.
A suo avviso la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo sarebbe inammissibile in ragione della consequenzialità tra iscrizione nell’elenco predisposto dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e debenza del prelievo. Evidenzia in proposito che il giudice rimettente non avrebbe impugnato l’art. 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica): tale disposizione, includendo la CNPADC nell’elenco ISTAT, costituirebbe il presupposto del prelievo a favore dell’Erario, sicché la prescrizione impugnata realizzerebbe, in ragione di detta propedeutica iscrizione, un regime unitario di partecipazione agli obiettivi di finanza pubblica per tutti gli enti appartenenti al consolidato delle pubbliche amministrazioni.
Nel merito, la difesa erariale rileva che, nell’ambito delle misure tese alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, il d.l. n. 95 de 2012 sulla cosiddetta spending review avrebbe esteso agli enti pubblici non territoriali gli obiettivi di contenimento tra i quali quelli contenuti nell’art. 8, comma 3, di detto decreto.
Secondo l’intervenuto, il legislatore avrebbe individuato quali destinatari delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica tutte le amministrazioni pubbliche comprese nell’elenco ISTAT cui la legge rinvia. L’inclusione di un ente nell’elenco ISTAT – e, pertanto, la sua qualificazione quale pubblica amministrazione – costituirebbe il presupposto per la soggezione all’art. 8, comma 3, d.l. n. 95 del 2012.
Ad avviso della difesa erariale non sarebbe possibile censurare la legge che assoggetta la CNPADC alle riduzioni di spesa previste dal decreto sulla spending review se non dopo aver censurato la legge che, includendo il predetto ente all’interno dell’elenco ISTAT, lo qualifica come pubblica amministrazione. La CNPADC invece non avrebbe impugnato tale normativa.
Il Presidente del Consiglio rileva inoltre che anche le risorse gestite dal fondo avrebbero natura pubblica. Tale connotazione deriverebbe, oltre che dal carattere pubblicistico delle funzioni svolte dalla Cassa, dal fatto: a) che i contributi degli iscritti non sono volontari ma imposti da specifica normativa; b) che gli enti privatizzati hanno un potere autoritativo di esazione dei contributi; c) che gli iscritti non hanno facoltà di disporre liberamente di quanto versato.
Da ciò discenderebbe che l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 non violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto i tagli di spesa colpirebbero tutte le amministrazioni pubbliche inserite nell’elenco ISTAT.
Secondo il Presidente del Consiglio, la norma impugnata non si porrebbe neppure in contrasto con gli artt. 35, 36 e 38, secondo comma, Cost., in considerazione della natura pubblica della CNPADC e dei fondi di cui essa dispone. Ciò giustificherebbe anche il versamento obbligatorio dei risparmi all’Erario per la realizzazione di interventi correttivi di finanza pubblica da parte dello Stato, ipotesi non lesiva dei precetti contenuti negli artt. 38 e 97 Cost.
Infine, secondo l’intervenuto non sarebbe stata fornita prova degli effetti negativi ipoteticamente prodotti dalla norma impugnata, in quanto i professionisti iscritti alla Cassa non avrebbero subito decurtazioni delle prestazioni previdenziali loro assicurate dalle norme vigenti.
2.– Ai fini della presente decisione sono necessarie alcune premesse.
L’elenco delle amministrazioni pubbliche appartenenti al conto economico consolidato previsto dall’art. 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009 – come modificato dal decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 – è stato istituito in attuazione di precisi obblighi comunitari sulla base di norme classificatorie e definitorie proprie del sistema statistico nazionale ed europeo, ai sensi del regolamento CE n. 2223/96 del Consiglio del 25 giugno 1996 modificato dal Regolamento UE 549/2013 relativo al «Sistema Europeo dei Conti Nazionali e Regionali nell’Unione Europea» (SEC2010). I criteri utilizzati per la classificazione sono di natura statistico-economica. Tale regolamento è servente alla definizione delle politiche dell’Unione europea ed al monitoraggio delle economie degli Stati membri e dell’Unione economica e monetaria (UEM), i quali «richiedono informazioni comparabili, aggiornate e affidabili sulla struttura dell’economia e l’evoluzione della situazione economica di ogni Stato membro o regione» (considerando n. 1 del regolamento UE n. 549/2013).
La Commissione utilizza gli aggregati dei conti nazionali e regionali, raccolti attraverso tali informazioni, per i fini amministrativi dell’Unione e, in particolare, per i calcoli di bilancio. Dunque, il sistema europeo dei conti, disciplinato dai richiamati regolamenti, prevede una metodologia finalizzata al monitoraggio della convergenza economica ed al conseguimento di uno stretto coordinamento delle politiche finanziarie europee.
La CNPADC è classificata, secondo l’allegato A (Capitolo 2 «Unità e insiemi di unità» – I settori istituzionali – Amministrazioni pubbliche S.13) del regolamento UE n. 549/2013, nel sottosettore S.1314, afferente agli «Enti di previdenza e assistenza sociale» (2.117), il quale «comprende le unità istituzionali centrali, di Stati federati e locali, la cui attività principale consiste nell’erogare prestazioni sociali che rispondono ai seguenti due criteri: a) in forza di disposizioni legislative o regolamentari determinati gruppi della popolazione sono tenuti a partecipare al regime o a versare contributi; b) le amministrazioni pubbliche sono responsabili della gestione dell’istituzione per quanto riguarda la fissazione o l’approvazione dei contributi e delle prestazioni, a prescindere dal loro ruolo di organismo di sorveglianza o di datore di lavoro».
Nell’ambito delle procedure di convergenza verso gli obiettivi europei di contenimento della spesa pubblica, l’inserimento in tale elenco ha comportato per l’ente previdenziale la sottoposizione ai pertinenti vincoli di riduzione della spesa. Tuttavia, a differenza della maggior parte degli enti pubblici e dei soggetti inseriti nell’elenco, la CNPADC non gode di finanziamenti pubblici che – anzi – sono vietati dalla legge istitutiva: «Gli enti trasformati continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali» (art. 1, comma 3, d.lgs. n. 509 del 1994).
È altresì utile un’ulteriore premessa circa la natura giuridica della CNPADC e la sua sostanziale irrilevanza nell’ambito del thema decidendum.
La trasformazione della Cassa operata dal d.lgs. n. 509 del 1994, pur avendo inciso sulla forma giuridica dell’ente e sulle modalità organizzative delle sue funzioni, non ha modificato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza, che mantiene non solo una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico di assicurare dette prestazioni sociali a particolari categorie di lavoratori, ma acquisisce un ruolo rilevante in ambito europeo attraverso l’inclusione delle risultanze del relativo bilancio nel calcolo del prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato (PNLpm), mediante le uniformi regole di contabilizzazione del sistema europeo dei conti economici integrati. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare che «dal quadro così tracciato [dalla riforma] emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale. L’esclusione di un intervento a carico della solidarietà generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario» (sentenza n. 248 del 1997).
3.– Tanto premesso, l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura dello Stato, argomentata in ragione della mancata considerazione della iscrizione nell’elenco ISTAT e delle conseguenze che ne deriverebbero automaticamente in punto di debenza del prelievo, non può essere accolta.
Secondo la difesa dello Stato, il fatto che la CNPADC sia stata individuata dalla legge quale componente dell’elenco ISTAT, nonché risulti destinataria delle disposizioni in materia di contenimento della spesa pubblica, costituirebbe indefettibile presupposto per la soggezione dell’ente previdenziale all’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 e, conseguentemente, il giudice rimettente avrebbe compiuto una sorta di aberratio ictus, nel censurare la legge che prevede il prelievo ai danni della CNPADC stessa anziché l’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, come modificato dal d.l. n. 16 del 2012, il quale, includendo il predetto ente nell’elenco ISTAT, comporterebbe l’automatica applicazione del prelievo a favore dell’Erario.
Nella prospettazione del giudice rimettente, al contrario, non è contestata la legittimità dell’inclusione della CNPADC nell’elenco delle amministrazioni ISTAT e neppure la legittimità della prima parte della disposizione, laddove vengono dettate norme finalizzate alla riduzione della spesa per consumi intermedi.
Infatti, se da un lato egli menziona l’intero comma 3, compresa la parte riferita agli enti che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato e la prescrizione afferente ad interventi di razionalizzazione della spesa, dall’altro chiarisce che la questione riguarda «gli atti impugnati, nella misura in cui determinano l’imposizione del versamento anche da parte della Cassa appellante, trovan[d]o il loro diretto e completo presupposto nella previsione normativa della cui costituzionalità si dubita, e, dunque, il problema della loro legittimità (in parte qua) non discende dalla presenza di eventuali vizi di legittimità, bensì dalla legittimità costituzionale del loro fondamento normativo».
Pertanto, l’eccezione d’inammissibilità non può essere accolta, dal momento che l’ordinanza di rimessione si limita a dubitare della legittimità costituzionale del prelievo operato dal legislatore statale nei confronti della CNPADC, tema che costituisce l’oggetto del presente giudizio.
4.– Venendo al merito, la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost. con riguardo alla sola prescrizione inerente all’imposizione del versamento annuale nelle casse dello Stato, è fondata.
Per quanto di seguito meglio specificato, la scelta di privilegiare, attraverso il prelievo, esigenze del bilancio statale rispetto alla garanzia, per gli iscritti alla CNPADC, di vedere impiegato il risparmio di spesa corrente per le prestazioni previdenziali non è conforme né al canone della ragionevolezza, né alla tutela dei diritti degli iscritti alla Cassa, garantita dall’art. 38 Cost., né al buon andamento della gestione amministrativa della medesima.
4.1.– Sotto il profilo della ragionevolezza, l’art. 3 Cost. risulta violato per l’incongrua scelta di sacrificare l’interesse istituzionale della CNPADC ad un generico e macroeconomicamente esiguo impiego nel bilancio statale.
L’esame del contesto legislativo rivela come la disposizione censurata operi in deroga all’ordinario regime di autonomia della Cassa, in parte alterando il vincolo funzionale tra contributi degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali.
Prescindendo dall’indagine sulla natura del contributo, e tenuto conto che le politiche statali possono, in particolari contingenze, incidere anche sull’autonomia finanziaria di un ente pubblico, nel caso in esame la compressione di un principio di sana gestione finanziaria, come quello inerente alla natura mutualistica degli enti privatizzati di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994, non risulta proporzionato all’alternativa di assicurare un prelievo generico a favore del bilancio dello Stato. Mentre l’interesse della CNPADC è specificamente riferibile alla missione istituzionale di gestire ed assicurare nel tempo le prestazioni previdenziali agli associati, quello dello Stato è – per obiettiva conformazione della norma impugnata – circoscritto alla generica copertura del complesso della spesa. Nella ponderazione delle due finalità non appare ragionevole il sacrificio – a beneficio di un generico interesse dello Stato ad arricchire, in modo peraltro marginale, le proprie dotazioni di entrata – di quella della CNPADC, che è collegata intrinsecamente alla necessaria autosufficienza della gestione pensionistica.
In particolare, con riguardo al bilanciamento tra le esigenze istituzionali della Cassa e quelle del bilancio statale, non può essere condiviso l’assunto dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui l’interesse dell’ente previdenziale a mantenere parte delle risorse acquisite attraverso la contribuzione degli iscritti sarebbe recessivo rispetto all’esigenza di prelevare dette risorse «per garantire il rispetto del principio del pareggio di bilancio sancito dall’art. 81 Cost. anche alla luce degli impegni assunti dal nostro Paese con le autorità europee».
La difesa statale desume un’arbitraria correlazione eziologica tra l’art. 1, comma 2, della legge n. 196 del 2009, la prima parte dell’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, non contestata dal giudice rimettente, e la seconda parte del medesimo comma 3 dell’art. 8: l’iscrizione nell’elenco ISTAT della CNPADC non comporterebbe soltanto la considerazione di quest’ultima nel complesso macroeconomico della finanza pubblica da coordinare attraverso l’imposizione di economie della spesa per beni intermedi, ma anche il prelievo di tali economie a beneficio dello Stato. Al contrario, come già premesso, tale rapporto di causalità tra le citate disposizioni non sussiste. È di tutta evidenza che la prima parte della norma impugnata provvede in modo costituzionalmente legittimo ad assicurare – attraverso il risparmio e l’accantonamento della percentuale di spesa pertinente a ciascuno dei soggetti rientranti nel sistema europeo dei conti nazionali e regionali dell’Unione europea-SEC 2010 – il coordinamento della finanza pubblica allargata per il raggiungimento degli obiettivi concordati in sede europea, mentre la seconda parte introduce un finanziamento a favore dell’Erario.
Pertanto, è la sola disposizione dell’art. 8, comma 3, impugnata dal rimettente a porre in essere un prelievo indebito nei confronti della CNPADC – il quale determina, nella situazione economico-patrimoniale della destinataria, una minusvalenza correlata ad una speculare plusvalenza a favore del bilancio dello Stato – mentre quella che impone la riduzione degli oneri per beni intermedi, oltre al coordinamento finalizzato al rispetto dei vincoli europei, costituisce di per sé anche un meccanismo idoneo a rendere più efficiente la gestione pensionistica nella misura in cui riduce le spese correnti della Cassa, indirizzando il risparmio alla naturale destinazione delle prestazioni previdenziali.
A parte il fatto che nella manovra di finanza pubblica il contestato prelievo assume valore neutro, dal momento che il saldo complessivo delle risorse disponibili nel consolidato pubblico risulta invariato, tale prelievo costituisce una scelta autonoma del legislatore statale (consistente nel trasferimento di risorse della CNPADC al proprio bilancio), del tutto distinta dall’adempimento degli obblighi di riduzione della spesa concordati in sede europea.
Se, in astratto, non può essere disconosciuta la possibilità per lo Stato di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti che – come la CNPADC – sostanzialmente si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti, non è invece conforme a Costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell’equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese.
Alla luce di tali considerazioni risultano capovolte anche le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui la fattispecie normativa in esame sarebbe il portato di un’«adeguata ponderazione» delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica di cui all’art. 81 Cost. con «gli altri parametri costituzionali richiamati dal Consiglio di Stato […] nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza […] in relazione alla pari necessità di rispetto dell’art. 81 Cost. ed alla luce della necessità di individuare un punto di equilibrio dinamico e non prefissato in anticipo tra tutti i vari diritti tutelati dalla Carta costituzionale».
Una valutazione in termini di proporzionalità e di adeguatezza tra i dialettici interessi in gioco può essere realizzata solo all’interno del quadro legislativo della materia «secondo determinazioni discrezionali del legislatore, le quali devono essere basate sul ragionevole bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nell’attuazione graduale di quei principi, compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa» (sentenza n. 119 del 1991). Infatti, se il costante orientamento di questa Corte è nel senso che il legislatore conserva piena libertà di scelta tra sistemi previdenziali di tipo mutualistico – caratterizzati dalla corrispondenza fra rischio e contribuzione e da una rigorosa proporzionalità fra contributi e prestazioni previdenziali – e sistemi di tipo solidaristico – caratterizzati, di regola, dall’irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali – una volta scelta con chiarezza la prima delle due opzioni, il bilanciamento degli interessi in gioco deve avvenire tenendo conto della soluzione normativa prevista dal d.lgs. n. 509 del 1994.
Nel caso in esame, quest’ultima è nel senso di realizzare modalità di finanziamento del sistema pensionistico della CNPADC attraverso la capitalizzazione dei contributi versati da ciascun lavoratore prima della quiescenza. Tali contributi sono gestiti dalla Cassa attraverso criteri di autonomia delineati dal legislatore secondo accantonamenti a basso rischio, cosicché, al momento del pensionamento, ogni lavoratore ritira il proprio montante contributivo, cioè quanto versato sino alla quiescenza, maggiorato dai cosiddetti coefficienti di trasformazione. Questa scelta si contrappone al sistema dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), ora confluito nell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel quale il pagamento delle pensioni viene effettuato utilizzando i contributi correntemente versati dai lavoratori in servizio e dai relativi datori di lavoro, senza che si effettui alcun accantonamento dei contributi stessi.
Negli anni ’90 il legislatore italiano ha ritenuto che i due sistemi potessero coesistere in ragione delle specifiche peculiarità. Risulta, quindi, evidente come in quello in esame esista un collegamento chiaro ed indefettibile fra volume dei contributi versati e livello delle prestazioni rese, legame che comporta un forte richiamo alla responsabilità del gestore, dalla cui buona amministrazione dipende in sostanza il mantenimento di un sistema che non può altrimenti finanziarsi.
In definitiva, se in Costituzione non esiste un vincolo a realizzare un assetto organizzativo autonomo basato sul principio mutualistico, occorre tuttavia evidenziare che, una volta scelta tale soluzione, il relativo assetto organizzativo e finanziario deve essere preservato in modo coerente con l’assunto dell’autosufficienza economica, dell’equilibrio della gestione e del vincolo di destinazione tra contributi e prestazioni.
4.2.– Sotto il profilo del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., non può essere ignorato che la riforma della CNPADC, avvenuta in attuazione del portato normativo del d.lgs. n. 509 del 1994, è ispirata dall’esigenza di percorrere una strada alternativa di tipo mutualistico rispetto alla soluzione «generalista» della previdenza dei dipendenti pubblici rappresentata dal sistema INPDAP, ora accorpato all’INPS.
Tale alternativa consiste sostanzialmente nell’autonomia finanziaria comportante l’assoluto divieto di contribuzione da parte dello Stato, nonché la ricerca di equilibri di lungo periodo sul piano previdenziale, finanziario ed economico.
In definitiva, si tratta di un sistema progettato e finalizzato all’equilibrio di lungo periodo di cui è connotato sintomatico «la previsione di una riserva legale, al fine di assicurare la continuità nell’erogazione delle prestazioni, in misura non inferiore a cinque annualità dell’importo delle pensioni in essere. Ferme restando le riserve tecniche esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, all’eventuale adeguamento di esse si provvede, nella fase di prima applicazione, mediante accantonamenti pari ad una annualità per ogni biennio» (art. 1, comma 4, lettera c, della legge n. 509 del 1994).
In tale contesto, le spese di gestione della CNPADC devono essere ispirate alla logica del massimo contenimento e della massima efficienza, dal momento che il finanziamento di tale attività strumentale grava sulle contribuzioni degli iscritti, cosicché ogni spesa eccedente al necessario finisce per incidere negativamente sul sinallagma macroeconomico tra contribuzioni e prestazioni.
Secondo tale prospettiva – come già rilevato – le misure di contenimento della spesa per i beni intermedi stabilite dall’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 sono utili non solo ad assicurare pro quota la partecipazione della Cassa al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, ma anche a preservare da un’eccessiva espansione della spesa corrente una parte delle risorse naturalmente destinate alle prestazioni previdenziali, salvaguardando il buon andamento dell’ente in conformità agli obiettivi della riforma del 1994.
Se la prima parte dell’art. 1, comma 3, appare, dunque, un efficace strumento di coordinamento della finanza pubblica, la seconda parte – nel destinare detto risparmio all’Erario – collide anche con l’art. 97 Cost., in quanto sottrae alla CNPADC risorse intrinsecamente destinate alla previdenza degli iscritti. E, nel caso di specie, non è tanto l’entità del prelievo – peraltro esiguo in rapporto alla dimensione delle entrate dello Stato – a determinare la non conformità a Costituzione, quanto l’astratta configurazione della norma, che aggredisce, sotto l’aspetto strutturale, la correlazione contributi-prestazioni, nell’ambito della quale si articola «la naturale missione» della CNPADC di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale.
4.3.– Con riguardo alla violazione dell’art. 38 Cost., non sono condivisibili le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui il prelievo non colpirebbe le situazioni previdenziali degli iscritti, ma si limiterebbe ad incidere sul bilancio della Cassa.
Occorre a tal proposito ricordare che – per effetto della riforma del 1994 – le posizioni previdenziali degli iscritti sono collettivamente e singolarmente condizionate dalla regola per cui la prestazione deve essere resa solo attraverso la contribuzione capitalizzata del destinatario e non attraverso l’impiego delle contribuzioni versate dagli altri iscritti in attività. Ciò con assoluta esclusione – a differenza della previdenza dei pubblici dipendenti – di qualsiasi contribuzione a carico dello Stato nel momento in cui il flusso finanziario proveniente dai versamenti contributivi non risulti sufficiente al pagamento delle prestazioni dovute.
In sostanza, in un sistema ispirato – pur nell’ambito del meccanismo contributivo – alla capitalizzazione dei contributi degli iscritti, l’ingerenza del prelievo statale rischia di minare quegli equilibri che costituiscono elemento indefettibile dell’esperienza previdenziale autonoma. Questa Corte ha affermato che la scelta di dotare le Casse di previdenza di un sistema di solidarietà endocategoriale basato sulla comunanza di interessi degli iscritti – cosicché ciascuno di essi concorre con il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova l’intera categoria – e di vincolare in tal senso la contribuzione di detti soggetti, costituisce soluzione del tutto ragionevole e idonea a «prevenire situazioni di crisi finanziaria e dunque di garantire l’erogazione delle prestazioni [. È] stato così sancito il vincolo d’una riserva legale a copertura per almeno cinque anni delle pensioni in essere (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994) e, più recentemente in sede di riforma del sistema pensionistico generale, è stata prevista l’obbligatorietà della predisposizione di un bilancio tecnico attuariale per un arco previsionale di almeno quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335)». Pertanto, «[l]a solidarietà endocategoriale che il legislatore si è preoccupato di non far venire improvvisamente meno», è finalizzata ad «assicurare l’idonea provvista di mezzi: considerazione, quest’ultima, tanto più valida ora, in un sistema dichiaratamente autofinanziato», in cui «tale previsione “assicura lo strumento meglio idoneo all’attuazione di finalità schiettamente pubbliche […]”. Tanto può affermarsi anche con riguardo agli scopi previdenziali perseguiti [dalle Casse previdenziali autonome] nel quadro della già richiamata solidarietà interna ai professionisti, a vantaggio dei quali l’ente è stato istituito: la comunanza d’interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova l’intera categoria, di talché il vincolo può dirsi presupposto prima ancora che imposto» (sentenza n. 248 del 1997).
Considerate le complesse problematiche alla base della deficienza strutturale dei meccanismi di finanziamento della previdenza dei dipendenti pubblici, l’alternativo sistema, voluto dal legislatore per gli enti privatizzati in un periodo ormai risalente, merita di essere preservato da meccanismi – quali il prelievo a regime in esame – in grado di scalfirne gli assunti di base. Ciò anche in considerazione del fatto che detti assunti ne hanno, comunque, garantito la sopravvivenza senza interventi di parte pubblica per un ragguardevole periodo di tempo. In proposito non può essere sottovalutato come la tutela degli equilibri finanziari della CNPADC sia intrinsecamente funzionale alla garanzia delle posizioni previdenziali degli associati, a sua volta riconducibile all’art. 38 Cost.
5.– In definitiva, subordinare le esigenze di coerenza dell’ordinamento previdenziale, disegnato dal d.lgs. n. 509 del 1994 in senso mutualistico e successivamente perfezionato attraverso l’applicazione del sistema contributivo, ad un meccanismo di prelievo di importo marginale (anche per il carattere di neutralità finanziaria nell’ambito della manovra complessiva) non risulta coerente né in grado di superare i test di ragionevolezza precedentemente richiamati.
Infatti, proprio una ponderazione delle esigenze di equilibrio della finanza pubblica tende inevitabilmente verso la soluzione di non alterare la regola secondo cui i contributi degli iscritti alla CNPADC devono assicurarne l’autosufficienza della gestione e la resa delle future prestazioni, in presenza di un chiaro divieto normativo all’intervento riequilibratore dello Stato.
Per quanto considerato, l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo in riferimento agli artt. 3, 38 e 97 Cost. nella parte in cui prescrive che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa previste da tale norma siano versate annualmente dalla CNPADC ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
6.– Restano assorbite le ulteriori censure sollevate dal giudice rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3, decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2016. […]